Soldi buttati, a Molfetta
Fiumi di denaro dall'UE. A Molfetta, quasi 100 milioni dal solo fondo Fesr 2007-2013. Viaggio (a tappe) tra scandali e incompiute.
di Massimiliano Piscitelli e Tiziana Ragno
“Investiamo nel vostro futuro”. Si scrive così quando si completa un’opera finanziata (o cofinanziata) con fondi europei.
Com’è noto, le casse dell’Europa sostengono, da anni, le aree meno sviluppate dell’Unione. Tra queste, la Puglia. Fiumi di denaro, dal 2000 ad oggi, hanno alimentato progetti che, altrove e specialmente fuori dall’Italia, hanno rivitalizzato interi centri urbani e migliorato la vita delle persone.
In Puglia, non è andata proprio così. Se, all’inizio dello scorso anno, il commissario Ue per le Politiche Regionali di allora, Johannes Hahn, elogiava la performance pugliese come una delle migliori del Sud Italia, viceversa la Corte Europea confermava la multa ai danni della Puglia con un taglio di 80 milioni del Fondo Fesr (Fondo di sviluppo regionale). Controlli carenti e poco seri, documentazione insufficiente e irregolare. Nella fabbrica dei progetti, insomma, la gestione era tutt’altro che affidabile. E non era una questione di forma (o di burocrazia). L’Europa non ci chiedeva che le carte fossero a posto. In questione era la sostanza, cioè la vigilanza cui è tenuta l’istituzione regionale perché i fondi europei siano ben spesi. “I fatti contestati riguardano la gestione dei fondi Por 2000-2006”, si è affrettato a precisare il governatore Nichi Vendola. È vero. Le precisazioni, però, non ci tranquillizzano. Piuttosto, possiamo comprendere – senza per questo ‘stare sereni’ – le ragioni per cui molte opere finanziate con i fondi Por 2000-2006, anche a Molfetta, non abbiano affatto migliorato la vita dei cittadini.
Guardiamo al futuro. I prossimi appetiti sono già tutti proiettati verso la programmazione 2014-2020. Di qui a breve in Italia pioveranno oltre 41 miliardi (la somma più alta dopo quella destinata alla Polonia). La Commissione Europea attendeva di conoscere la versione definitiva dell’Accordo di Partenariato italiano, cioè il piano di spesa nazionale per l’uso dei prossimi fondi comunitari: dopo i rilievi formulati dalla stessa Commissione verso la prima versione dell’Accordo (ad es., carenza di capacità di gestione dei fondi a livello di governance amministrativa e istituzionale; carenza di linee strategiche su ricerca, innovazione, agenda digitale e cultura), il governo ha presentato un piano migliorato e corretto, con l’auspicio di vedersi confermata la somma già destinata all’Italia. Quanto alla Puglia, il sottosegretario Graziano Delrio ha annunciato che, insieme alla Basilicata, la nostra Regione godrà del massimo cofinanziamento nazionale possibile (non così per altre Regioni). “I prossimi fondi saranno spesi tutti, fino all’ultimo centesimo”, ha rincarato Delrio. Come se bastasse spendere tutto per avere la certezza di aver speso bene.
Come guardare al futuro facendo tesoro (per quanto possibile) del passato? A Molfetta, il citato Fondo Fesr (2007-2013) ha dato a questa città ben 98,8 milioni di euro (dati aggiornati al 30 giugno 2014). La somma è ingente: corrisponde all’1 per mille dell’importo destinato all’intero territorio nazionale. I numeri più alti si leggono, ad esempio, alle voci “Consorzio Asi – completamento infrastrutture” (3.087.478,42 euro), “Contratto di Programma Wind Telecomunicazioni Spa – Network Contacts” (in totale, poco meno di 1milione e mezzo di euro – 1.465.106,4 euro), “Contratto di Programma Exprivia Spa” (in totale, poco meno di 6 milioni di euro – 5.936.649,90 euro).
È forse ancora presto per valutare l’impatto reale dei fondi comunitari spesi nell’ultimo sessennio in area molfettese. È però già tardi, forse, per valutare che cosa dovrà esserne dei fondi futuri. Tuttavia, bisognerà pur riflettere. A cominciare da alcuni ‘relitti’ delle programmazioni comunitarie più lontane (Por 2000-2006, specialmente, fino a qualche esempio di Pop 1991-1993), alcuni dei quali oggetto di questa inchiesta. Tutte dolenti tracce di uno scempio: quello di una barca di denaro pubblico, prima profuso e poi sprecato.
Acqua per l'agricoltura
L'impianto c'è ma non funziona
di Massimiliano Piscitelli e Tiziana Ragno
“Un gioiellino tutto automatizzato: questo era quando l’abbiamo concluso. Adesso, invece, bisognerebbe spendere almeno 300mila euro, o forse 400mila, soltanto per rimetterlo a posto”. L’ing. Giuseppe Corti, direttore del Consorzio di Bonifica “Terre d’Apulia”, ricorda con nostalgia il ‘varo’ di questa importante opera pubblica, l’impianto di affinamento delle acque reflue. Si tratta, per la precisione, di due impianti, annessi rispettivamente al depuratore di Ruvo-Terlizzi e a quello di Molfetta. Entrambi in agro molfettese.
L’idea era: riutilizzare a scopo irriguo le acque rinvenienti dai depuratori, previo trattamento di affinamento. Un’idea che rispondeva ai bisogni dell’agricoltura e che, al contempo, puntava a contrastare lo spreco dell’acqua, favorendone il riuso. Una bella idea, dunque. Ma che ne è stato?
I due impianti sono pronti da oltre due anni, dopo un iter di finanziamento e lavori durato vent’anni.
Nel settembre 1994 l’intervento riceve il primo finanziamento pubblico per un importo di circa 17milioni di euro su fondi comunitari Pop Puglia 1991-1993. Dopo perizie di variante e una rescissione di contratto con l’impresa appaltatrice, nel 2000 la Regione Puglia revoca il finanziamento concesso, per poi riapprovare un nuovo progetto nel 2002 e per finanziare, nel 2003, il completamento delle opere in parte realizzate per un importo pari a poco più di 8milioni di euro (a valere su fondi comunitari Fesr 2007-2013). Le opere sono state definitivamente completate nei primi mesi del 2010 e collaudate nel 2012.
48 km di tubazioni capaci di trasportare ben 900 m3/h di acqua completamente depurata e affinata a servizio di un’area estesa per 1320 ettari (circa 3 volte la zona Asi): sarebbe manna dal cielo per l’agricoltura. In più, eviterebbe il prelievo di acqua dalle falde, sempre più sfruttata e, anche per questo, ormai inquinata dall’acqua salata (per il fenomeno dell’intrusione del ‘cuneo salino’: a causa dell’eccesso di sfruttamento della falda, l’acqua del mare s’incunea, appunto, nella falda provocandone la salinizzazione). Ancora, quest’intervento ridurrebbe l’impatto degli scarichi a mare, contribuendo a migliorare la balneabilità di un tratto di costa – quello tra Molfetta e Bisceglie – su cui insistono ben 4 scarichi.
Invece, i due impianti, dal 2012, sono terra di nessuno. Preda di vandali e incuria. Perché?
L’ing. Corti spiega che l’impianto non è mai entrato in funzione perché non è mai stato messo a punto un protocollo di intesa tra il Consorzio, la Regione Puglia e un concessionario che potesse gestirlo. Non è il gioco delle tre carte. È la prova che, anche in tempi di ‘larghe intese’, è sempre difficile trovare la quadra su chi fa chi e chi fa cosa. “Il Consorzio non è più disposto a intervenire finché non vi saranno certezze sulla gestione dell’impianto”, conclude l’ing. Corti. Perché allora sì che si tratterebbe di soldi buttati.
Il Piccolo Porto
Le infrastrutture e il 'bancomat' per la Molfetta Porto
di Massimiliano Piscitelli e Tiziana Ragno
Approvato nel novembre 2002, il progetto dell’impianto per il trattamento delle acque di sentina delle imbarcazioni del porto di Molfetta è stato realizzato con fondi Por Puglia 2000-2006 (asse IV, sottomisura 4.12: “Attrezzature dei porti da pesca”). Poco meno di 930mila euro che, nelle intenzioni degli amministratori e dei progettisti, avrebbero dovuto contribuire al “recupero dei parametri ottimali di efficienza e sicurezza sanitaria dell’area portuale e dell’ambiente marino attraverso il miglioramento della qualità delle acque”. E, poi, al “miglioramento dei servizi offerti alle imbarcazioni e delle condizioni di sicurezza de porto nei confronti dell’emergenza incendio e della falla a bordo dei natanti” e, infine, al “recupero dei parametri ottimali di sicurezza ed igiene nelle operazioni di scarico e movimentazione del prodotto pescato” (delibera della Giunta del Comune di Molfetta n.557 del 15.11.2002).
Di che stiamo parlando? Di un impianto di depurazione delle acque oleose di sentina delle imbarcazioni; di sei piazzole di posizionamento dei cassonetti per la raccolta differenziata di rifiuti provenienti da attività di pesca; di un distributore di gasolio; di sessanta contenitori per il trasporto del pescato all’interno del mercato ittico; di un presidio antincendio. Se i soldi risultano tutti spesi e le opere interamente realizzate nel 2005, ad oggi tuttavia non c’è traccia del loro utilizzo né dei benefici da esso indotti. Infatti, gran parte delle opere previste (in testa, l’impianto di trattamento delle acque di sentina, tra gli interventi più costosi) non è mai entrata in funzione.
In questa storia, però, il bello viene dopo.
Nel gennaio del 2010, quando il nostro impianto era bell’e compiuto da cinque anni, il Consiglio Comunale di Molfetta approva un aumento del capitale sociale della società pubblica “Molfetta Porto” srl (quella del ‘nuovo’ grande porto). L’aumento del capitale è consentito dal conferimento alla società di alcuni beni. Tra questi, proprio l’impianto di trattamento delle acque di sentina, insieme ad altre opere a servizio del porto, finanziate con fondi comunitari. Un colpo da maestro. Un vero e proprio euro-bancomat del valore di 463.693euro. Sì, perché a tanto ammonterebbe il valore dei beni conferiti secondo una perizia appositamente commissionata e giurata dinanzi al Cancelliere del Tribunale di Trani. In definitiva, l’impianto di depurazione, la stazione di rifornimento del gasolio, le piazzole e i cassonetti per la raccolta differenziata dei rifiuti portuali e la pompa per interventi di emergenza incendio diventano parte del capitale sociale della “Molfetta Porto” e parte del suo fondo di riserva straordinario, costituito al fine di mantenere integro il capitale in caso di eventuali perdite di esercizio o altre evenienze sfavorevoli. Comunque utilizzabile in caso di emergenza, verrebbe da concludere.
Vi è, poi, un ultimo e più recente addendum. A febbraio dell'anno scorso, con un importante cambio di prospettiva, il Consiglio Comunale decide di liquidare la “Molfetta Porto”, senza però preoccuparsi di stabilire alcunché in merito alla dotazione strumentale nella disponibilità della società. Ancora una volta si ignora che quei beni e quelle attrezzature non sono soltanto capitale da trasferire da un registro contabile all’altro, ma devono assolvere a ben altre e più specifiche funzioni. Infine e in conclusione, un dejà-vu. L’amministrazione comunale può disporre di qualche avanzo rinveniente dalla programmazione dei fondi comunitari 2007-2013. Così, ad agosto 2014, ne decide la destinazione. Approva, quindi, un progetto esecutivo per la realizzazione di opere, molte delle quali simili – almeno nell’intento – a quelle già eseguite nove anni fa. La relativa delibera di Giunta Comunale, infatti, recita: “Lavori di ammodernamento delle banchine per migliorare la sicurezza delle operazioni di sbarco o carico; realizzazione di impianti per la fornitura di acqua, di abbattitore di temperatura e di centro raccolta rifiuti; ristrutturazione servizi igienici”, finanziato ai sensi della Misura 3.3 – FEP 2007-2013 – “Porti e luoghi di sbarco e ripari di pesca”. Importo complessivo, 1.204.911,40 euro (€ 987.632,36 mediante fondi comunitari; € 217.279,11 mediante cofinanziamento comunale). La storia potrebbe essere, appunto, già vista. E il finale, a questo punto, già scritto.
Opere alla deriva
Due pontili e un catamarano in abbandono
di Massimiliano Piscitelli e Tiziana Ragno
Di fronte al mercato ittico all’ingrosso, da nove anni, due pontili ormai malconci segnano il paesaggio della banchina San Domenico. Su quel che rimane di quest’opera si legge: “Anno 2005”. Da allora, i due pontili sono in balia di intemperie e vandalismi. Inaugurati e mai utilizzati.
A che cosa mai sarebbero dovuti servire? Si trattava, negli intenti di chi ne promosse il progetto, di impianti infrastrutturali a servizio dei motopescherecci per attività di scarico del pescato destinato al mercato ittico, a pochi metri da lì. Eppure, le associazioni di categoria ammettono che quest’obiettivo era (ieri come oggi) del tutto velleitario, visto che, come tutti gli operatori sanno, in quell’area del porto non c’è fondale sufficiente per consentire il transito dei pescherecci.
Quest’opera, inutilizzata e inutile, è costata 1 miliardo di vecchie lire. Il contratto di appalto fu stipulato in data 06/10/2003 con la ditta Daloiso Nicola & C. s.a.s. e Pepe impianti; ben tre anni passarono, prima che il dirigente del Settore Lavori Pubblici approvasse lo stato finale e la regolare esecuzione dell’opera.
Il problema, come si dice di solito, è di gestione. Le passate amministrazioni tentarono, ma non realizzarono l’affidamento dei due pontili ai privati. Il risultato è che quasi tutto, persino le prese luce, è stato asportato. Non rimane molto altro, se non un vecchio cartello, logoro anch’esso.
Tutt’altro finale si poteva immaginare per un’altra opera, ancora a servizio del ‘vecchio’ porto: infatti, per il grande catamarano tuttofare, che da cinque anni ‘riposa’ ormeggiato al Molo Pennello di Molfetta, un piano di custodia e manutenzione era stato previsto e si è protratto almeno fino alla primavera di quest’anno. Di che si tratta?
Lungo 16 metri e largo 6, realizzato completamente in acciaio, il catamarano è attrezzato per fornire assistenza ai pescherecci durante il tiro a secco e il varo; fungere da tender per i pescherecci in rada; recuperare ancore, catene e corpi morti presenti sui fondali; prestare soccorso antincendio, servizio gru galleggiante e anti-inquinamento in caso di sversamento in mare di combustibili; recuperare rifiuti solidi galleggianti; dare assistenza logistica ai sommozzatori. Finanziata nell’ambito del POR Puglia 2000-2006 (misura 4.12 azione C), l’opera è costata poco meno di 790mila euro. Varato il 15 novembre 2009 dal cantiere navale De Gioia Paolo srl, in località Spiaggia Maddalena (presso l’area dei cantieri navali di Molfetta), il catamarano non è mai stato operativo.
Eppure c’è chi l’ha custodito perché non andasse in malora. Il Comune di Molfetta, infatti, almeno fino ad aprile 2014, ha speso poco meno di 40mila euro per i servizi di guardiania e di manutenzione conservativa dell’imbarcazione, servizi affidati a una ditta privata.
Infine, anche per queste due opere (pontili e catamarano), la storia recente registra un tentativo di affidamento alla società comunale Molfetta Porto srl (una specie di ‘zona franca’ in cui convogliare, per quanto possibile, anche le brutture e le incompiute del vecchio porto). In verità, l’atto di indirizzo del Consiglio Comunale che, nel 2010, si espresse in tal senso non ha mai avuto seguito. Quel che si prevedeva era di concedere alla società, per almeno 5 anni, l’affitto dei pontili e del natante, a fronte di un canone di locazione agevolato. Sciolta la Molfetta Porto, permangono invece quel grande catamarano e quei due pontili forse ormai in via di rottamazione.
Da alcuni mesi, a pochi metri di distanza, un nuovo e fiammante pontile galleggiante spicca dalla stessa banchina. Lo spettatore distratto – e ottimista – potrebbe ipotizzare che l’Amministrazione comunale abbia finalmente rimediato alle negligenze degli ultimi nove anni. Si tratta, invece, di un terzo pontile, privato (di proprietà del locale Circolo della Vela). Perfettamente funzionante e dotato di videosorveglianza per impedire atti vandalici a costi contenuti.
È la prova che il vecchio adagio a proposito del privato, che funziona meglio del pubblico, sarà sempre valido fintanto che certi comportamenti della pubblica amministrazione continueranno a essere gli stessi.
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