Molfetta alias Roma?

Il sindaco di Molfetta ha recentemente disegnato un parallelo fra la sua condizione e quella di Ignazio Marino. L’equivalenza è, da un lato, fuorviante; dall’altro, rivela la tendenza, comune in molti esponenti politici di oggi, a proporsi come ‘persone nuove’ in lotta contro la ‘vecchia politica’.

di Antonello Mastantuoni e Arcangelo Ficco

ultima tentazione di Paola 2

L'ultima tentazione di Paola

Origini e sviluppo dell’ultima operazione narrativa di Paola Natalicchio

di Antonello Mastantuoni

ultima tentazione di Paola

L’ultima operazione narrativa di Paola Natalicchio consiste nel disegnare un parallelo fra la sua condizione e quella di Ignazio Marino: sarebbe quest’ultimo vittima dell’appena intaccato accrocco di interessi inconfessabili che, formatosi durante il sindacato di Alemanno, avrebbe così profondamente penetrato la società romana da diffondersi come un cancro anche all’interno dei partiti che solo per tradizione lessicale continuiamo a chiamare con gli stessi nomi di quelli che una volta formavano il centro sinistra, ma che ormai sarebbero parte integrante di un super partito annidato come un saprofita nel corpo moribondo del Paese.
Questa sbrigativa analisi ha il non trascurabile vantaggio di fornire una facile spiegazione ai mesi e mesi di pressoché totale immobilità e incertezza che hanno caratterizzato l’amministrazione capitolina, nonostante questa fosse formata da persone di sicura onestà e, se non di certificata capacità amministrativa, certo indubitabilmente motivata dalle migliori intenzioni possibili.
Facile dunque vedere le ragioni per cui Paola Natalicchio possa in Marino scorgere il riflesso della propria condizione, quella di un sindaco senza una vera maggioranza politica che galleggia incerta del suo futuro politico e umano in attesa che il caos si ricondensi in nuovi precipitati attorno ai soliti attrattori di interessi. Corredando la sua riflessione con una foto scattata insieme all’ormai ex sindaco di Roma, Natalicchio dichiara la sua appartenenza alla categoria delle persone per bene che lottano strenuamente conto i cattivi che si annidano nella macchina ammnistrativa e nella città.
Quella di rappresentarsi come un “sindaco coraggio” è una tentazione già apparsa in più di una occasione, l’ultima in maniera clamorosa in occasione della “crisi” estiva. In questo, almeno, non è isolata: si tratta di una tentazione piuttosto diffusa a cui sembra destinata a cedere prima o poi una intera generazione di sindaci, quella dei “provenienti dalla società civile”, dei “prestati alla politica”, quella di coloro che partendo dal basso e sulla spinta dell’indignazione della “gente”, se di sinistra, o del “popolo”, se di destra, avrebbero dovuto spazzare via la casta e la rete degli interessi innominabili che stozzano e insozzano il nostro Paese. Di ciò che resta del “Partito dei sindaci” insomma, quello venuto fuori dalla moda culturale che aveva individuato nei partiti storici i responsabili del disastro nazionale.
Questi “nuovi” sindaci, scelti spesso con il sistema delle primarie o, come nel caso di Paola Natalicchio, attraverso giochi politici più o meno sapienti, avrebbero dovuto sparigliare le carte per aprire spiragli al rinnovamento e dare una scossa alla morta gora della politica. Si bollava tutto quello che precedeva l’elezione del nuovo sindaco come “vecchia politica” con la conseguenza di portare all’accantonamento gli stessi uomini e la stessa classe dirigente a cui doveva l’elezione.
Così spazzati via i partiti storici e rimpiazzati con pallidi simulacri, disintegrata nella vergogna la vecchia classe dirigente gli interessi e le reti degli interessi sono rimasti, solo hanno cercato altre vie per aggregarsi e manifestarsi.
Gli uomini soli al comando, circondati dal cerchio magico di fedelissimi anche loro “uomini nuovi”, senza strutture politiche, senza corpi intermedi a fare da mediatori, senza una classe dirigente e luoghi di elaborazione di una strategia politiche, istintivamente hanno finito con il ridurre la politica alla governance, a scambiare il linguaggio giuridico in cui gli atti amministrativi devono essere scritti come l’orizzonte del possibile, gli escamotage avvocatizi come le uniche possibilità per fare o non fare. A sentirsi impotenti di fronte a problemi troppo grandi, e a cercare scuse per la loro impotenza.

Un sindaco solo

Le scelte mancate e il doppio binario della partecipazione

di Arcangelo Ficco

ultima tentazione di Paola 3

La vicenda Marino è senza dubbio molto complessa e ricca di sfaccettature che non possono  essere liquidate con lo sfogo di poche battute come fa Paola Natalicchio, che cerca riscontri significativi per sé in un’improbabile identificazione della sua esperienza amministrativa in un astratto paradigma sulla politica che l’esperienza di Marino le avrebbe evidenziato: qualcuno (chi?) si serve delle persone per bene (Paola Natalicchio) per fare pulizia (di che cosa e da cosa?), per poi sbatterla fuori (chi? quando? perché?).
Se dobbiamo assumere per valido il suo ragionamento, per evitare di parlare inutilmente (e nel nostro paese purtroppo ormai questo vezzo è una gravissima patologia) e andare subito alle cose concrete, vorremmo suggerire al Sindaco, la cui onestà e onorabilità sono indubitabili, qualche spunto di riflessione che consenta a tutti i molfettesi di capire meglio come stanno le cose.
Intanto fare nomi e cognomi, indicare circostanze o altri utili riferimenti. Stando al suo schema di ragionamento, dovremmo poter conoscere il “chi” si è servito di lei come “Kleenex” per fare pulizia, si può immaginare, dal centrodestra, ma bisognerebbe capire anche da “cosa”; poi la volontà di qualcuno, magari lo stesso o gli stessi di prima ovvero altri, di mandarla a casa, e sarebbe utilissimo sapere quando e perché.
Se Paola Natalicchio non dice ai molfettesi papale papale queste cose, vuol dire che ha parlato, o meglio scritto, invano, e oggi la politica più che mai ha bisogno di parole che abbiano un contenuto chiaro e non ambiguo; la politica non può prendersi altro tempo per cambiare misura e contenuto, altrimenti altro che vicenda Marino. La percentuale dei molfettesi al voto per le regionali la dice lunga, ma nessuno dei politici di professione sembra essersi preoccupato più di tanto.
In attesa che il Sindaco, se lo riterrà opportuno, voglia rispondere ai quesiti proposti, forse è il caso di fare qualche considerazione sollecitata dal senso di amarezza che trapela dalle sue parole, partendo dal forte segnale di cambiamento che questa Giunta ha fatto come suo primo atto e all’insegna del quale Paola Natalicchio aveva ispirato, con la maggioranza che l’ha sostenuta, la campagna elettorale. Ci si vuole riferire al rilancio di Agenda XXI. È stata un’intuizione politicamente significativa, quasi l’atto fondativo di un nuovo patto di cittadinanza che archiviasse le ultime esperienze ammnistrative e evitasse, attraverso le forme della partecipazione organizzata, di venire pesantemente condizionati dai cosiddetti poteri forti, gli stessi che avrebbero mandato a casa Marino, allo scopo di trovare possibili soluzioni di compromesso, tra i diversi attori in campo, alla luce del sole, nell’interesse generale della città.
Questo purtroppo non è accaduto, perché, tra ondeggiamenti e contraddizioni, Agenda XXI ha di fatto ricoperto un ruolo ancillare, a volte espressione di una partecipazione preordinata a condividere determinate conclusioni, come dimostra esemplarmente il caso del rifacimento del parco di Mezzogiorno. Ciò non significa che Agenda XXI non abbia avuto autonomia operativa, solo che il suo lavorio è rimasto nella gran parte dei casi lettera morta.
In sostanza sembra essere cambiata la prospettiva iniziale, quella che voleva legare gli atti di governo di ampio respiro alle scelte condivise della partecipazione istituzionalmente organizzata; sembra essere prevalsa una prassi diversa: facciamo discussione e partecipazione sulle questioni marginali,  mentre per quelle più impegnative e spinose – quelle che riguardano, per esempio, il governo del territorio – cerchiamo le compatibilità tra contesti normativi, interessi generali e particolari al di fuori delle forme partecipative progettate.
In questo modo la spinta propulsiva di Agenda XXI ha perso senso e valore ‘politico’. Si può citare al riguardo, a titolo di esempio, l’inutilità degli incontri incentrati sulla discussione di due temi, le cui conclusioni avrebbero potuto qualificare la direzione del cambiamento promesso: la variante al Piano Urbanistico Esecutivo del comparto 18 e il porto.
Nel primo caso, i rappresentanti del governo cittadino sono risultati assenti, sebbene finalmente il dualismo o trialismo degli interessi abbia avuto modo di confrontarsi e giungere a conclusioni che l’Amministrazione avrebbe potuto prendere in considerazione, vista l’ubicazione dell’area del comparto (alle spalle della stazione ferroviaria) e nella prospettiva di definire il redigendo Piano Urbano della Mobilità Sostenibile; tra l’altro l’Amministrazione nel frattempo ha deciso di non ricorrere al Consiglio di stato avverso la sentenza del TAR (adito dai proprietari del comparto), che espropriava gli amministratori del potere di decidere se assoggettare il provvedimento sul comparto 18 a Vas (Valutazione ambientale strategica). Diverso, invece, il comportamento della Regione che esplicitava le sue ragioni e  intenzioni contrarie in una nota al Sindaco del 30 dicembre 2014. Chiunque può facilmente intendere che l’incontro, svoltosi nell’ambito di Agenda XXI su questo tema, di fatto sia stato una mera formalità.
Nel secondo caso, quello del porto, la presenza dell’Amministrazione non ha portato comunque a risultati dissimili dal primo, giacché, nonostante le proposte di “revisione” del progetto emerse nel corso della discussione e a dispetto di quanto dichiarato dal Sindaco nella seduta di Consiglio comunale, riunito per deliberare la liquidazione della Società porto (nel corso della quale ebbe a dire che finalmente la discussione sul porto era stata “dissequestrata”), nulla di quanto promesso anche in campagna elettorale si è visto, se non (a parte l’adesione all’autorità del Levante valida più sul piano gestionale che su quello funzionale) l’esplicita volontà di completarne l’opera, stando alle ultime dichiarazioni di stampa. Ancora una volta un nulla di fatto.
È chiaro che l’Amministrazione è libera di scegliere la sua condotta e se ha deciso di usare, per così dire, il doppio binario, lo ha fatto per una precisa strategia di governo. Avrà fatta propria l’idea che è meno faticoso cercare direttamente tra i diversi elementi in gioco le soluzioni, che le permettano di superare gli ostacoli salvando almeno formalmente la fedeltà alle istanze politiche iniziali, piuttosto che gestire la progettualità fluida e anarcoide della partecipazione reale. Allora il progetto di un nuovo patto di cittadinanza si svuota e viene da chiedersi che fine facciano le cose scritte nel programma elettorale: forse la stessa del famoso “libretto verde”, noto a quelli che hanno superato gli anta. Si dà il caso che a volte la storia si ripeta.
Nel programma elettorale sono scritte tante belle cose, qualcuna rilevante per operare sul piano della qualità urbana, da sempre tallone d’Achille dello sviluppo della città, come ad esempio il Piano dei servizi, ed è scandaloso che si sia deciso di completare il PRG senza neppure concepire l’idea di mettere mano al Piano dei servizi, appunto, nel cui ambito sicuramente la vicenda del comparto 18 avrebbe trovato soluzione più funzionale alle esigenze generali della città, come si è detto.
Sul sistema di attese progressivamente deluse si misura la solitudine di un sindaco o, peggio, il suo sentirsi strumento nelle mani di qualcuno: dire e promettere e poi fare altro o fare poco o nulla di quanto detto e promesso, senza sapere o potere spiegarne il perché (quello vero).
L’urbanistica, che è da sempre il piatto forte dell’economia e della politica  della città, ottima cartina di tornasole per misurare la virtù del cambiamento, sarà al centro dell’attenzione dei molfettesi nei prossimi anni, giacché l’Amministrazione ha varato da poco il documento d’indirizzo del Piano Urbanistico Generale. Riuscirà il PUG  a dare quelle risposte che Molfetta da molti anni attende? Si può solo sperarlo, ma non si può fare a meno di considerare che si tratta di un ennesimo rinvio a tempo indeterminato della possibilità di godere dei benefici generati da un Piano dei servizi a tutto vantaggio della qualità urbana. E, quel che è peggio, tutto questo potrebbe diventare un eccellente cavallo di Troia per ridare moto al consumo di suolo, a dispetto di tante affermazioni e di tante buone intenzioni espresse in senso contrario: per scaramanzia, conviene dire subito, chiaro e tondo, “non siamo certaldesi” (quelli che si bevevano le trovate di frate Cipolla della novella boccaccesca), chissà che non si riesca a tenere lontano il rischio di nuovo sciupio del territorio.
Il sugo della storia sta in un’amara considerazione, amara tanto quanto possa essere la nota di Paola Natalicchio: si viene sconfitti se si è incoerenti o incongruenti rispetto alle aspettative suscitate, giacché la sconfitta è tutta scritta nelle scelte fatte, non solo nei disegni diabolici dell’avversario politico. Anche in politica bisogna sempre tenere a mente un vecchio adagio, secondo il quale non è colpa dello specchio se il naso è storto.
Il cambiamento non può essere fatto solo di annunci, abbisogna di atti specifici e significativi, che diano la persuasione di una netta rottura con il passato: certamente non rientra in questo tipo di disegno, ad esempio, l’incarico diretto affidato a persona, che ha militato nella lista del Sindaco: ovviamente non si discute della persona, ma del metodo, che sa molto di passato.

La narrazione di Paola

di Antonello Mastantuoni

la narrazione di paola

I’m not bad, I’m just drawn that way

Da più o meno vent’anni esiste una ricetta per confezionare campagne elettorali che si è rivelata estremamente efficace: si proietta la storia personale del candidato sullo sfondo di una storia collettiva e la biografia diventa così, grazie a un gioco prospettico, una storia esemplare e il candidato la persona giusta al momento giusto: colui (o colei) grazie al quale la Storia arriverà finalmente a compimento. Gli elettori, da parte loro, si sentiranno partecipi di uno straordinario processo collettivo: «qui e adesso si sta scrivendo la Storia; anche io ci sono e potrò raccontarlo ai miei nipoti». Una gran bella kermesse, insomma: come un concerto rock, ma più in grande. (A ben vedere non si tratta di nulla di particolarmente nuovo se non nel fatto che dispositivi di controllo sociale, già tristemente conosciuti per la loro efficacia, trovano oggi applicazione all’interno di contesti che si suole ancora definire democratici).
Le vicende nelle quali la storia di Paola Natalicchio è stata inserita sono quelle della Sinistra molfettese, descritta come “la parte migliore della città”, tenuta sotto un giogo di ignominia dai dirty tricks di Tonino Azzollini, il mago cattivo capace di lanciare un maleficio su Molfetta e mantenerla in un sonno fatto di incubi di illegalità e corruzione. Richiamata dall’esilio, da dove ha sempre seguito con tristezza e crescente sgomento ciò che andava accadendo, Paola torna per risvegliare la sua città dal sortilegio e, aiutata dai pochi cavalieri che in questi anni hanno saputo resistere al Gran Bombasso, restituirle l’anima. Torna, Paola, indossando le vesti della guida capace di condurre il popolo fuori dal deserto in nome degli antichi profeti Guglielmo e Tommaso Minervini. (Quest’ultimo ha avuto all’interno del quadro narrativo un ruolo che, se può apparire di minor rilievo rispetto a quello di Guglielmo, è sicuramente più complesso ma paradossalmente più efficace dal punto di vista della garanzia della bontà di Paola. Tommaso infatti ha conosciuto il Male, ne è stato alleato, ma adesso è tornato redento e mondato. L’abiura e il tradimento, il pentimento e infine il riscatto definitivo si sublimano nel ruolo nuovo di padre nobile certificato definitivamente dalla generosità con cui si tira da parte a dare, senza nulla chiedere in cambio, spazio alla nuova guida).
Rassegniamoci al fatto che nella stagione politica che stiamo vivendo, in cui il processo di cessione di sovranità da parte dello Stato verso il potere finanziario trova immediata traduzione nei tagli ai trasferimenti economici verso gli enti locali, gli spazi di operabilità di cui dispone un sindaco sono ridotti ad assai poca cosa e, per di più, appaiono in via di ulteriore contrazione.
Se, dunque, amministrare la cosa pubblica è sempre più simile a una curatela fallimentare, che altro mai potrà fare un sindaco se non affidarsi a una buona narrazione per tener buoni gli elettori, per far loro credere che ci sia ancora una possibilità di redenzione e un futuro?
Ma un quadro narrativo, per quanto possa essere stato ben predisposto, richiederà sempre continue operazioni di manutenzione sia durante la campagna elettorale che dopo, ammesso che sia ancora utile fare differenza fra i due momenti: viviamo ormai in un tempo fatto di campagne elettorali permanenti, illimitate, strabordanti che fagocitano ogni forma narrativa senza confini di genere. Chi cura l’immagine del candidato o del politico viene chiamato a riscrivere continuamente la narrazione originale per adattarla alle nuove condizioni, a cercare di porre rimedi agli attacchi e ai danni che le narrazioni dei concorrenti arrecano; bisognerà che rinforzi le difese e organizzi nuove sortite; dovrà, al verificarsi di un fatto nuovo o al diffondersi di una notizia sgradita, riadattare l’inquadratura perché ciò che può essere utile al politico resti in bella vista e venga nascosto invece ciò che non lo è.
Che la narrazione di Paola non fosse di facile manutenzione è apparso subito evidente, fondata com’è sulla sabbia di mezze verità e di troppe omissioni. D’altra parte non si poteva certo raccontare ai molfettesi che buona parte della responsabilità della situazione in cui si trova la città ricade proprio sulle teste di coloro a cui veniva attribuito il ruolo di numi tutelari del centro sinistra cittadino. Né si poteva dire che se il senatore ha potuto ergersi a dominus incontrastato della città per oltre un decennio lo si deve alle guerre intestine del centro sinistra scatenate dall’incapacità di Guglielmo Minervini di tollerare chiunque possa mettere in discussione le sue ambizioni carismatiche.
Quello che soprattutto non si poteva raccontare è che all’alternarsi delle compagini politiche al governo della città non ha mai corrisposto una differenza di strategia politica: chiunque si sia trovato a governare non ha saputo fare altro che perseguire lo stesso “sviluppo” fatto di saccheggio sistematico del territorio e di consegna della città ai processi di deterritorializzazione economico-finanziaria. La ragione è semplice: con questa politica l’élite economica cittadina si è arricchita in maniera esponenziale a tutto discapito del resto degli abitanti e della qualità ambientale e sociale della città. La nostra classe dirigente non ha fatto altro che comportarsi come le classi dirigenti dei paesi del terzo mondo nel periodo post-coloniale, quelle che hanno svenduto le ricchezze dei propri paesi e le vite dei propri connazionali agli interessi delle multinazionali ricevendone in cambio ricche prebende. D’altro canto la contiguità familistica fra moltissimi politici di entrambi gli schieramenti e i portatori di quegli interessi è una cosa clamorosamente manifesta, come anche la organicità dell’UTC a questo disegno.

L’efficacia di ogni racconto è subordinata alla sua capacità di renderci felici, di catturarci con le sue trame e con i suoi colpi di scena, al punto da indurci a “sospendere l’incredulità”, a credere anche all’incredibile per tutta la durata del racconto. Per questo è indispensabile che una narrazione politica non cessi mai. Ogni narrazione, adesso dovrebbe essere chiaro, è un incantamento: e anche la narrazione di Paola non fa eccezione. Quanto riuscirà ancora ad essere efficace sarà il tempo a dirlo.
In quanto esseri umani non possiamo fare a meno dei racconti: siamo animali narranti. Le narrazioni ci attraversano e alcune ci prendono, ci danno forma e coscienza. Alcune in noi diventano prevalenti e diventano la nostra bussola. Ciascuno di noi si colloca all’incrocio di alcune narrazioni lì dove spera di trovare – spesso, ahimè, invano – un punto di equilibrio, di minimo dolore almeno, se non di felicità. Ogni narrazione tende per sua natura a diventare egemonica, totalizzante. Ed è una cosa che dobbiamo temere grandemente: è dal conflitto fra narrazioni che nascono le crepe che nella nostra coscienza diventano dubbi, incertezze, ferite, cicatrici, tutte le cose cioè a cui dobbiamo la nostra libertà e umanità.
Forse Paola Natalicchio pensava di essere la narratrice. E invece, come tutti gli esseri umani, più che raccontare anche lei viene soprattutto raccontata. Dai racconti non si può sfuggire fino a quando non si scopre di essere prigionieri: solo allora, diventati consapevoli di sé, si può cercare di evadere.
Paola, esci dal racconto!

Rincorrere le parole. Breve e provvisorio lessico della crisi

L’essenza del potere, oggi più che mai, sta nella capacità di usare parole familiari di cui credevamo di conoscere il significato in modo da modificarne un po’ alla volta il senso, così che nessuno si avveda di quel che veramente sta succedendo

di Antonello Mastantuoni

lessico della crisi

È stato detto che l’uomo è un animale razionale. Per tutta la mia vita non ho mai smesso di cercare qualche prova che potesse confermarmelo.
Bertrand Russell

Allontanamento dei cittadini nei confronti della politica

«È un fatto disgraziato, una iattura! Questa politica allontana i cittadini dalla cosa pubblica! Bisogna riportarli alle urne, a interessarsi di politica! La colpa? Non so. Certo non mia!»

Carisma

L’asserzione che il potere carismatico possa conciliarsi con la democrazia è una di quelle sconce frivolezze che da un po’ ci tocca sopportare. Il carismatico si offre al popolo e con lui si identifica, non decide un bel nulla, al contrario si precipita dove il popolo lo mena. Saltati le mediazioni e i corpi intermedi, orpelli costosi e fonti di ritardi, la politica non può che fondarsi sulla rappresentazione del potere e sugli indici di gradimento. Non c’è più bisogno di argomenti (che potrebbero confondere le anime semplici), né il tempo per discuterli. Si afferma; e quel che si afferma vien coperto dal fuoco di sbarramento di cosiddetti spin doctor e story teller, spesso improvvisati rimestatori di blog e social, confezionatori di immaginette e di breviari.

Cambiamento

Cambiare prospettiva, approccio, visione. Cambiare marcia, passo, direzione. Invertire la rotta, cambiare verso, cambiare assessore, cambiare squadra.“Cambiare il cambiamento”: qui si tocca il sublime!

Facebook

Luogo virtuale in cui un sindaco può dare le dimissioni.

Giunta

Gruppo di persone legate fra loro da sentimenti di amicizia e solidarietà. Sinonimo: Comitiva

Interesse cittadino

Fatti salvi gli interessi individuali, di casta, di banda, di partito, quel che resta.

Mandato

«Il Sindaco è eletto a suffragio universale e diretto dei cittadini e dura in carica per un periodo di cinque anni.»
“A prescindere”, si sostiene.

Maggioranza

Accrocco casuale di persone che qualora esprimano giudizi diversi rispetto alla comitiva (vedi:giunta) sono ritenuti portatori di interessi inconfessabili.
La vera maggioranza è la città profonda a cui solo il sindaco e, in quanto suoi rappresentanti, i membri della giunta hanno accesso. Richiamo ufficiale rivolto a chi manifesta dubbi, dissente o chiede chiarimenti: «Ma voi state ancora in maggioranza?»

Partecipazione

È consentita una accorata e estatica partecipazione alle decisioni quando già prese, meglio se espressa sui social nella forma del like e senza troppi commenti. Sugli aspetti residuali o tralasciati per accidente o dimenticanza la discussione è consentita libera e senza freni: poveri gattini ciechi, come farete senza la mamma?

Petizione

Miserere. Atto di fede, come tale presuppone un contratto narrativo e la sospensione dell’incredulità. Tu puoi, dunque se non fai è perché non vuoi. E non vuoi perché il popolo ti ha deluso, ti ha reso la vita difficile al punto da disgustarti, eppure non puoi abbandonarci così. Non sum dignus, sed tantum dic verbo.

Progetto

Quello che l’Amministrazione promuove. A tal fine l’esistenza materiale di un progetto sarebbe controproducente. (Vedi: programma)

Programma

Forma narrativa utile all’ammaestramento dell’elettorato. Va letto come una parabola distinguendo il significato letterale da quello allegorico, morale e anagogico. Una volta eletto il neo sindaco scioglie ogni vincolo che lo lega a esso con la formula rituale: «Sarò il sindaco di tutti».

Responsabilità

«L'azione di cambiamento intrapresa non deve essere fermata!». «Mica possiamo riconsegnare la città alla destra!». Tarallucci e vino. Avimm’ pazziat’.

Straordinario

Nella liturgia politica è il tempo in cui avvengono i fatti meravigliosi e compiute le gesta degne di essere tramandate. La straordinarietà si irradia come un’aura: chiunque si trovi ad agire con il beneplacito o sotto l’egida dell’Amministrazione, o compia atti pubblici a cui il Sindaco ritenga di poter vantaggiosamente essere accostato, compie immancabilmente qualcosa di straordinario. Tutto il resto è noia.

Tecnico

Scelto a insindacabile giudizio del Sindaco. Se usato come qualificativo attribuito a un assessore non implica competenze specifiche nella materia di cui questi si troverà a occupare.

Voto

«Il Sindaco, i voti li ha presi lei!»

La narrazione di Paola

di Antonello Mastantuoni

la narrazione di paola

 

 

I’m not bad, I’m just drawn that way

Da più o meno vent’anni esiste una ricetta per confezionare campagne elettorali che si è rivelata estremamente efficace: si proietta la storia personale del candidato sullo sfondo di una storia collettiva e la biografia diventa così, grazie a un gioco prospettico, una storia esemplare e il candidato la persona giusta al momento giusto: colui (o colei) grazie al quale la Storia arriverà finalmente a compimento. Gli elettori, da parte loro, si sentiranno partecipi di uno straordinario processo collettivo: «qui e adesso si sta scrivendo la Storia; anche io ci sono e potrò raccontarlo ai miei nipoti». Una gran bella kermesse, insomma: come un concerto rock, ma più in grande. (A ben vedere non si tratta di nulla di particolarmente nuovo se non nel fatto che dispositivi di controllo sociale, già tristemente conosciuti per la loro efficacia, trovano oggi applicazione all’interno di contesti che si suole ancora definire democratici).
Le vicende nelle quali la storia di Paola Natalicchio è stata inserita sono quelle della Sinistra molfettese, descritta come “la parte migliore della città”, tenuta sotto un giogo di ignominia dai dirty tricks di Tonino Azzollini, il mago cattivo capace di lanciare un maleficio su Molfetta e mantenerla in un sonno fatto di incubi di illegalità e corruzione. Richiamata dall’esilio, da dove ha sempre seguito con tristezza e crescente sgomento ciò che andava accadendo, Paola torna per risvegliare la sua città dal sortilegio e, aiutata dai pochi cavalieri che in questi anni hanno saputo resistere al Gran Bombasso, restituirle l’anima. Torna, Paola, indossando le vesti della guida capace di condurre il popolo fuori dal deserto in nome degli antichi profeti Guglielmo e Tommaso Minervini. (Quest’ultimo ha avuto all’interno del quadro narrativo un ruolo che, se può apparire di minor rilievo rispetto a quello di Guglielmo, è sicuramente più complesso ma paradossalmente più efficace dal punto di vista della garanzia della bontà di Paola. Tommaso infatti ha conosciuto il Male, ne è stato alleato, ma adesso è tornato redento e mondato. L’abiura e il tradimento, il pentimento e infine il riscatto definitivo si sublimano nel ruolo nuovo di padre nobile certificato definitivamente dalla generosità con cui si tira da parte a dare, senza nulla chiedere in cambio, spazio alla nuova guida).
Rassegniamoci al fatto che nella stagione politica che stiamo vivendo, in cui il processo di cessione di sovranità da parte dello Stato verso il potere finanziario trova immediata traduzione nei tagli ai trasferimenti economici verso gli enti locali, gli spazi di operabilità di cui dispone un sindaco sono ridotti ad assai poca cosa e, per di più, appaiono in via di ulteriore contrazione.
Se, dunque, amministrare la cosa pubblica è sempre più simile a una curatela fallimentare, che altro mai potrà fare un sindaco se non affidarsi a una buona narrazione per tener buoni gli elettori, per far loro credere che ci sia ancora una possibilità di redenzione e un futuro?
Ma un quadro narrativo, per quanto possa essere stato ben predisposto, richiederà sempre continue operazioni di manutenzione sia durante la campagna elettorale che dopo, ammesso che sia ancora utile fare differenza fra i due momenti: viviamo ormai in un tempo fatto di campagne elettorali permanenti, illimitate, strabordanti che fagocitano ogni forma narrativa senza confini di genere. Chi cura l’immagine del candidato o del politico viene chiamato a riscrivere continuamente la narrazione originale per adattarla alle nuove condizioni, a cercare di porre rimedi agli attacchi e ai danni che le narrazioni dei concorrenti arrecano; bisognerà che rinforzi le difese e organizzi nuove sortite; dovrà, al verificarsi di un fatto nuovo o al diffondersi di una notizia sgradita, riadattare l’inquadratura perché ciò che può essere utile al politico resti in bella vista e venga nascosto invece ciò che non lo è.
Che la narrazione di Paola non fosse di facile manutenzione è apparso subito evidente, fondata com’è sulla sabbia di mezze verità e di troppe omissioni. D’altra parte non si poteva certo raccontare ai molfettesi che buona parte della responsabilità della situazione in cui si trova la città ricade proprio sulle teste di coloro a cui veniva attribuito il ruolo di numi tutelari del centro sinistra cittadino. Né si poteva dire che se il senatore ha potuto ergersi a dominus incontrastato della città per oltre un decennio lo si deve alle guerre intestine del centro sinistra scatenate dall’incapacità di Guglielmo Minervini di tollerare chiunque possa mettere in discussione le sue ambizioni carismatiche.
Quello che soprattutto non si poteva raccontare è che all’alternarsi delle compagini politiche al governo della città non ha mai corrisposto una differenza di strategia politica: chiunque si sia trovato a governare non ha saputo fare altro che perseguire lo stesso “sviluppo” fatto di saccheggio sistematico del territorio e di consegna della città ai processi di deterritorializzazione economico-finanziaria. La ragione è semplice: con questa politica l’élite economica cittadina si è arricchita in maniera esponenziale a tutto discapito del resto degli abitanti e della qualità ambientale e sociale della città. La nostra classe dirigente non ha fatto altro che comportarsi come le classi dirigenti dei paesi del terzo mondo nel periodo post-coloniale, quelle che hanno svenduto le ricchezze dei propri paesi e le vite dei propri connazionali agli interessi delle multinazionali ricevendone in cambio ricche prebende. D’altro canto la contiguità familistica fra moltissimi politici di entrambi gli schieramenti e i portatori di quegli interessi è una cosa clamorosamente manifesta, come anche la organicità dell’UTC a questo disegno.

L’efficacia di ogni racconto è subordinata alla sua capacità di renderci felici, di catturarci con le sue trame e con i suoi colpi di scena, al punto da indurci a “sospendere l’incredulità”, a credere anche all’incredibile per tutta la durata del racconto. Per questo è indispensabile che una narrazione politica non cessi mai. Ogni narrazione, adesso dovrebbe essere chiaro, è un incantamento: e anche la narrazione di Paola non fa eccezione. Quanto riuscirà ancora ad essere efficace sarà il tempo a dirlo.
In quanto esseri umani non possiamo fare a meno dei racconti: siamo animali narranti. Le narrazioni ci attraversano e alcune ci prendono, ci danno forma e coscienza. Alcune in noi diventano prevalenti e diventano la nostra bussola. Ciascuno di noi si colloca all’incrocio di alcune narrazioni lì dove spera di trovare – spesso, ahimè, invano – un punto di equilibrio, di minimo dolore almeno, se non di felicità. Ogni narrazione tende per sua natura a diventare egemonica, totalizzante. Ed è una cosa che dobbiamo temere grandemente: è dal conflitto fra narrazioni che nascono le crepe che nella nostra coscienza diventano dubbi, incertezze, ferite, cicatrici, tutte le cose cioè a cui dobbiamo la nostra libertà e umanità.
Forse Paola Natalicchio pensava di essere la narratrice. E invece, come tutti gli esseri umani, più che raccontare anche lei viene soprattutto raccontata. Dai racconti non si può sfuggire fino a quando non si scopre di essere prigionieri: solo allora, diventati consapevoli di sé, si può cercare di evadere.
Paola, esci dal racconto!

Rincorrere le parole. Breve e provvisorio lessico della crisi

L’essenza del potere, oggi più che mai, sta nella capacità di usare parole familiari di cui credevamo di conoscere il significato in modo da modificarne un po’ alla volta il senso, così che nessuno si avveda di quel che veramente sta succedendo

di Antonello Mastantuoni

lessico della crisi

È stato detto che l’uomo è un animale razionale. Per tutta la mia vita non ho mai smesso di cercare qualche prova che potesse confermarmelo.
Bertrand Russell

Allontanamento dei cittadini nei confronti della politica

«È un fatto disgraziato, una iattura! Questa politica allontana i cittadini dalla cosa pubblica! Bisogna riportarli alle urne, a interessarsi di politica! La colpa? Non so. Certo non mia!»

Carisma

L’asserzione che il potere carismatico possa conciliarsi con la democrazia è una di quelle sconce frivolezze che da un po’ ci tocca sopportare. Il carismatico si offre al popolo e con lui si identifica, non decide un bel nulla, al contrario si precipita dove il popolo lo mena. Saltati le mediazioni e i corpi intermedi, orpelli costosi e fonti di ritardi, la politica non può che fondarsi sulla rappresentazione del potere e sugli indici di gradimento. Non c’è più bisogno di argomenti (che potrebbero confondere le anime semplici), né il tempo per discuterli. Si afferma; e quel che si afferma vien coperto dal fuoco di sbarramento di cosiddetti spin doctor e story teller, spesso improvvisati rimestatori di blog e social, confezionatori di immaginette e di breviari.

Cambiamento

Cambiare prospettiva, approccio, visione. Cambiare marcia, passo, direzione. Invertire la rotta, cambiare verso, cambiare assessore, cambiare squadra.“Cambiare il cambiamento”: qui si tocca il sublime!

Facebook

Luogo virtuale in cui un sindaco può dare le dimissioni.

Giunta

Gruppo di persone legate fra loro da sentimenti di amicizia e solidarietà. Sinonimo: Comitiva

Interesse cittadino

Fatti salvi gli interessi individuali, di casta, di banda, di partito, quel che resta.

Mandato

«Il Sindaco è eletto a suffragio universale e diretto dei cittadini e dura in carica per un periodo di cinque anni.»
“A prescindere”, si sostiene.

Maggioranza

Accrocco casuale di persone che qualora esprimano giudizi diversi rispetto alla comitiva (vedi:giunta) sono ritenuti portatori di interessi inconfessabili.
La vera maggioranza è la città profonda a cui solo il sindaco e, in quanto suoi rappresentanti, i membri della giunta hanno accesso. Richiamo ufficiale rivolto a chi manifesta dubbi, dissente o chiede chiarimenti: «Ma voi state ancora in maggioranza?»

Partecipazione

È consentita una accorata e estatica partecipazione alle decisioni quando già prese, meglio se espressa sui social nella forma del like e senza troppi commenti. Sugli aspetti residuali o tralasciati per accidente o dimenticanza la discussione è consentita libera e senza freni: poveri gattini ciechi, come farete senza la mamma?

Petizione

Miserere. Atto di fede, come tale presuppone un contratto narrativo e la sospensione dell’incredulità. Tu puoi, dunque se non fai è perché non vuoi. E non vuoi perché il popolo ti ha deluso, ti ha reso la vita difficile al punto da disgustarti, eppure non puoi abbandonarci così. Non sum dignus, sed tantum dic verbo.

Progetto

Quello che l’Amministrazione promuove. A tal fine l’esistenza materiale di un progetto sarebbe controproducente. (Vedi: programma)

Programma

Forma narrativa utile all’ammaestramento dell’elettorato. Va letto come una parabola distinguendo il significato letterale da quello allegorico, morale e anagogico. Una volta eletto il neo sindaco scioglie ogni vincolo che lo lega a esso con la formula rituale: «Sarò il sindaco di tutti».

Responsabilità

«L'azione di cambiamento intrapresa non deve essere fermata!». «Mica possiamo riconsegnare la città alla destra!». Tarallucci e vino. Avimm’ pazziat’.

Straordinario

Nella liturgia politica è il tempo in cui avvengono i fatti meravigliosi e compiute le gesta degne di essere tramandate. La straordinarietà si irradia come un’aura: chiunque si trovi ad agire con il beneplacito o sotto l’egida dell’Amministrazione, o compia atti pubblici a cui il Sindaco ritenga di poter vantaggiosamente essere accostato, compie immancabilmente qualcosa di straordinario. Tutto il resto è noia.

Tecnico

Scelto a insindacabile giudizio del Sindaco. Se usato come qualificativo attribuito a un assessore non implica competenze specifiche nella materia di cui questi si troverà a occupare.

Voto

«Il Sindaco, i voti li ha presi lei!»

la narrazione di paola

La narrazione di Paola

di Antonello Mastantuoni